1981: Indagine a New York

Blaise Pascal, con la sua famosa scommessa, sosteneva che conveniva puntare sull'esistenza di Dio (*), in quanto se si vince si ottiene un ricompensa infinita e se si perde, beh, comunque si è vissuto una vita felice. Ho l'impressione che nemmeno Pascal desse molto peso alle sue argomentazioni, e che le considerasse piuttosto un simpatico giochetto logico con cui stupire gli amici. Che razza di vita sarebbe mai, mi sono sempre chiesto, quella di un tale che segue una religione non perché ci crede ma perché spera in una futura ricompensa.

In questo film J.C. Chandor ce lo racconta. O almeno, qualcosa del genere.

Si narra infatti di Abel Morales (Oscar Isaac) che cerca di mantenere la sua vita in un difficile equilibrio morale in un mondo che di morale sembra avere ben poco. Siamo infatti nel 1981 a New York, in uno dei periodi più turbolenti che la città abbia attraversato (**). Immigrato ispanico, ha rapidamente fatto carriera, sposato Anna (Jessica Chastain), figlia di quello che sembra essere stato un pezzo grosso della mafia italo-americana, e preso la direzione dell'attività di famiglia, commercio di combustibile per riscaldamento.

Lui vuole stare fuori dagli affari sporchi, preferendo contare sulle sue capacità di venditore e un modello di business profittevole, ma le pratiche commerciali di quel ramo non sono pulitissime e bisogna adeguarsi alla concorrenza. La sua azienda subisce una serie di furti, e seguiamo la vicenda di un suo autista, Julian (Elyes Gabel) che viene selvaggiamente picchiato. In più c'è un pubblico ministero (David Oyelowo) che lo ha preso di mira e sta indagando su di lui.

Non sembrerebbe il momento di compiere azione azzardate, ma Abel la pensa diversamente, e punta tutto sull'acquisto di un'area che lo farebbe crescere enormemente. Il problema è che una serie di circostanze spaventa la banca che doveva garantirgli i fondi necessari, facendogli correre il rischio di capottare bruscamente. In pochi giorni Abel deve risolvere una lunga serie di inghippi se non vuole rischiare di fare la fine del topo.

Le atmosfere sono quelle da film sulla mafia, da Il padrino in qua, con l'avvocato di Abel, Andrew (Albert Brooks) che sembra proprio il consigliori di famiglia, e anche con un incontro al ristorante italo-americano (***) di una specie di consiglio capitanato da quello che sembra essere il corrente big boss, Peter (Alessandro Nivola). Però il punto di vista è quello di uno che si trova ai margini di quel sistema e fa di tutto per non venirne coinvolto.

Per gran parte del film sembra esserci una distinzione piuttosto netta tra buoni e cattivi, con Anna che sembra quasi una Lady Macbeth che vorrebbe che il suo uomo si facesse meno scrupoli, e con il PM che sembra attaccare Abel perché non lo distingue dai veri cattivi.

Nel finale, decisamente amaro, scopriamo come di buoni ce ne siano davvero pochi (°), e non abbiano un buon destino che li aspetta.

(*) E in particolare su quella del Dio cristiano cattolico, corrente giansenista.
(**) Da cui il titolo originale, A most violent year. L'idagine è assolutamente secondaria allo sviluppo della storia, e i nostri distributori l'hanno messa nel titolo con l'evidente intenzione di attirare pubblico che si aspetterà qualcosa di diverso e rimarrà così molto deluso dalla pellicola.
(***) Con tanto di Una lacrima sul viso di Bobby Solo in sottofondo.
(°) Difficile non ripensare al primo film di Chandor, Margin call. Qui è come se si dicesse che il sistema non è che si sia corrotto negli ultimi anni, è una cosa più radicata, forse intrinseca al nostro modello di società.

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