Sherlock Speciale: L'abominevole sposa

O sarebbe meglio dire The abominable bride, che la versione italiana sarà disponibile al cinema in una decina di giorni. Curiosa scommessa, questa della BBC, di trasmettere prima in televisione e poi di portare nelle sale questo episodio speciale di Sherlock (*), seguendo a ritroso il percorso classico delle produzioni cinematografiche. Potrebbe essere vincente, sia per la promessa di materiale aggiuntivo, sia per l'effetto-supporter che potrebbe scatenare sui fan della serie. E' un po' come andare allo stadio a vedere il proprio cantante preferito, il bello sta proprio nel rivedere (o ascoltare) cose già conosciute in compagnia di chi condivide la nostra passione.

Si sapeva già da tempo che questo sarebbe stato un episodio vittoriano, lasciandoci la curiosità di capire come questo fosse possibile, considerando che in questi anni i personaggi si sono sviluppati sotto i nostri occhi mantenendo una ambientazione contemporanea. La soluzione che ci viene proposta è che si tratti di una realtà alternativa, come se questa fosse una vicenda che si svolge in un universo parallelo, in cui i nostri si trovano catapultati mantenendo il loro carattere ma trovandosi a vivere in un periodo che non è il loro. Scopriremo molto più avanti, quando ormai il finale incombe, che anche su questo punto Mark Gatiss e Steven Moffat vanno presi con le molle, e che tutta la storia non è altro che una proiezione fantastica dello Sherlock Holmes (Benedict Cumberbatch) che conosciamo. Oppure, come viene suggerito nell'ultima scena, quello che conosciamo noi e le avventure che affronta non sono altro che la fantasia futuribile dello Sherlock Holmes di Arthur Conan Doyle.

Del resto il caso stesso che dà il titolo all'episodio (**) non è altro che un parallelo che Sherlock usa per elucubrare sul vero problema che gli sta a cuore. E dovremmo capire abbastanza rapidamente che quello è lo strano caso del suo arcinemico, il Professor Moriarty (Andrew Scott), che pur essendo morto sotto i suoi occhi (***) non ne vuole sapere di lasciarlo in pace.

Sul finire dell'ottocento, Lestrade (Rupert Graves) chiede aiuto a Holmes per lo strano caso di Emilia Ricoletti (Natasha O'Keeffe) che prima si è uccisa in pubblico, e poi ha ucciso il marito a schioppettate in una via di Londra sotto gli occhi di numerosi testimoni. Di motivi per eliminare il marito, Emilia ne avrebbe avuti in abbondanza, non si capisce come e perché lo possa aver fatto dopo essersi suicidata. Una visita alla morgue ci mostra come Emilia sia davvero morta, ma serve soprattutto per farci vedere che Molly Hooper (Louise Brealey) è anche qui disperatamente innamorata di Sherlock senza essere non dico ricambiata ma nemmeno notata da lui, con la piccola variante che, trovandosi a vivere in un periodo in cui sarebbe stato praticamente impossibile per una donna lavorare in quella posizione, ella vive en travesti, senza che nessuno se ne accorga - con la notevole eccezione del dottor John Watson (Martin Freeman) che, come spesso gli accade, alterna sprazzi di percettività ad altri di imbarazzante ottusità.

Sherlock bolla rapidamente il caso come indegno della sua attenzione, in quanto di una banalità sconcertante, e si dedica ad altro. Poco ci sarebbe da aggiungere su questa parte, se non per il corto circuito con un altro racconto doyliano, Il cerchio rosso, dove appare una Emilia Lucca, moglie sventurata, anche se in modo diverso da questa Emilia, che ha un legame con una associazione delinquenziale italo-americana. Al momento l'indizio è debole, ma tornerà utile più avanti.

Passa qualche tempo e Mycroft Holmes (Mark Gatiss), che ha qui una grassezza pythoniana (°) convoca il suo fratellino meno dotato al Diogenes Club per sottoporgli un caso apparentemente semplice ma che dovrebbe portare luce su un cambiamento paradigmatico che sta piombando sulla società del tempo. Lady Carmichael (Catherine McCormack) è preoccupata per il marito, che sembra avere un problema simile a quello di Elias Openshaw ne I cinque semi d'arancia (°°). Il duo di Baker Street interviene e, mi spiace doverlo dire, fallisce. Ma poco male, perché Sir Eustace Carmichael (Tim McInnerny) è comunque una brutta persona, e perché c'è Mary Morstan in Watson (Amanda Abbington) che, su indicazione di Mycroft, tiene gli occhi ben aperti.

La soluzione di questo intricato caso sembra scadere nel manierismo da racconto poliziesco gotico del secolo scorso, se non fosse per l'irruzione di Moriarty e di un sorprendente ping pong temporale che ci offre almeno un paio di chiavi di lettura alternative al racconto.

(*) Si tratta di una postilla all'ultimo episodio della terza stagione, L'ultimo giuramento, che era finita lasciandoci una gran perplessità su quello che stava accadendo. Qui si danno delle spiegazioni, e si chiariscono quelle che saranno le basi della quarta stagione.
(**) Il cui titolo è una citazione da Il cerimoniale dei Musgrave, dove si accenna ad un caso holmesiano di cui non si dirà più nulla in tutta la storia del consulting detective.
(***) Vedasi Il problema finale, che per Moffat/Gatiss è diventato Le cascate di Reichenbach.
(°) Vedasi Monty Python: il senso della vita.
(°°) Racconto di cui non ho visto trasposizioni su pellicola, vedasi comunque La casa del terrore che ricicla, come si fa qui, il meccanismo della lettera minatoria.

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