Il lupo della Sila

Melodrammone evidentemente scritto (*) tenendo d'occhio i gusti del pubblico del momento. Mantiene ancora oggi parte del suo interesse grazie alla regia Duilio Coletti, che riesce a mantenere una specie di equilibrio nei toni, e all'ottimo cast che, anche se non mi sembra abbia preso la sceneggiatura troppo sul serio, affronta con professionalità il compito di dare vita alla storia.

Il paragone con Riso amaro, dello stesso anno, entrambi prodotti da Dino De Laurentiis, con Silvana Mangano protagonista e Vittorio Gassman qui in un ruolo più piccolo, mostra come il neorealismo ha portato realmente una ventata di novità nel nostro cinema, facendo sembrare questo titolo ancora più antico di quello che è.

Nel prologo assistiamo all'amore contrastato tra Pietro (Gassman) e Orsola (Luisa Rossi). A far da terzo incomodo è il fratello di lei, Rocco (Amedeo Nazzari), che reputa scandalosa la relazione tra i due, per questioni di prestigio sociale. Caso vuole che Pietro venga accusato ingiustamente di un omicidio, ma che non possa difendersi adeguatamente, perché il suo alibi è che era impegnato con Orsola, e non ne vuole compromettere l'onore. Rocco impedisce alla sorella di testimoniare, con conseguente morte di Pietro (e di sua madre), dovuta al suo tentativo di eludere la giustizia a modo suo.

Passano una ventina d'anni. Una bella e misteriosa giovinetta, Rosaria (la Mangano), appare in paese e tanto fa che finisce per essere assunta a servizio dalla famiglia di Rocco. Lei nasconde la sua vera identità, ma l'astuto spettatore capisce subito che si tratta della sorellina di Pietro, probabilmente finita in orfanotrofio e cresciuta chissà come, covando rancore e desiderio di vendetta.

La machiavellica trama di Rosaria consiste nel far innamorare di sè sia Rocco che suo figlio Salvatore (Jacques Sernas), spingere il primo a chiederla in sposa, per poi fuggire col secondo, creando così uno scandalo di tali proporzioni da annichilire il tradizionalista Rocco.

Funziona più o meno tutto secondo i suoi piani, se non che la tapina finisce per maturare un certo affetto per Salvatore, e anche per rendersi conto che i suoi propositi di vendetta sono scemi (cosa che mi ha fatto pensare a Toto le heros di Jaco Van Dormael). Tenta così di cambiare il corso degli eventi, però si deve scontrare con l'incapacità di Rocco di uscire dagli schemi che hanno guidato tutta la sua vita.

Come da titolo, l'azione si svolge nella Sila, eppure praticamente tutti i personaggi principali parlano in buon italiano, anche se ognuno con le cadenze del relativo interprete. La coloritura dialettale è lasciata sullo sfondo, e a Gennaro (Dante Maggio), factotum di Rocco, che ha il ruolo del buffo che alleggerisce l'azione (**). La Mangano è doppiata da Lidia Simoneschi, il che fa una strana impressione, data la voce molto più matura del personaggio.

(*) Nientemeno che da Mario Monicelli e Steno.
(**) Maggio usa il suo bell'accento napoletano, e la sceneggiatura si fa carico di spiegare come mai lui sia finito in un paesino calabrese.

2 commenti:

  1. Visto di notte molti anni fa, non mi era dispiaciuto anche se non è il mio genere.Un fil di tutto rispetto comunque, sopratutto per via del cast.

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    1. Interessante notare come il melodramma sia ancora vivo, anche qui da noi. Vedi ad esempio Io sono l'amore. Ma si sia evoluto, smussando certi slanci che ad esempio qui mi hanno fatto pensare al verismo di Verga.

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