RoboCop

Ad un occhio distratto potrebbe sembrare che la storia (sviluppata da Joshua Zetumer e diretta da José Padilha) non si discosti nemmeno troppo dall'originale che Paul Verhoeven ha firmato negli anni ottanta. Uno sguardo più attento dovrebbe portare a notare differenze anche sostanziali. Nessuna delle due versioni mi ha particolarmente entusiasmato, anche se darei una vittoria di misura a Padilha, grazie al buon cast e a quella che mi pare una miglior strutturazione della sceneggiatura.

In un futuro piuttosto vicino (una quindicina d'anni), un giornalista televisivo d'assalto (Samuel L. Jackson) sposa con gran foga la causa della OmniCorp, che vorrebbe vendere sul mercato interno (per la polizia) la tecnologia che ha sviluppato per i militari (ma che può essere usata solo fuori dagli USA). Visto che l'opposizione principale è quella che non si vuole automatizzare l'uso della violenza per scopi di ordine pubblico, il boss della OCP (Michael Keaton) ha l'idea di combinare uomo e robot in un unica mostruosa istanza. Ha la capacità tecnica di farlo, grazie anche alla genialità del dottor Norton (Gary Oldman) che, nonostante i suoi dubbi, si lascia convincere a lavorare a questa folle idea.

Il solito buon poliziotto, bravo marito e padre di famiglia esemplare (Joel Kinnaman) si trova nella spiacevole situazione di mutare in RoboCop, con tutto quello che ne consegue.

Il rapporto tra Norton e RoboCop mi sembra sia costruito pensando a Frankenstein e il suo mostro, la figura del giornalista dà al racconto una impostazione politica che non dovrebbe piacere un granché ai repubblicani americani. Anche se penso che a restar maggiormente impresso nello spettatore medio sia la grande potenza di fuoco messa in mostra nelle principali scene d'azione, che sembrano prese di forza da un videogame.

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