Nebraska

Woody (Bruce Dern) è una brutta persona. Un vecchiaccio alcolizzato, testone, che si dimentica di tutto e tutti, e ha un rapporto molto teso con sua moglie Kate (June Squibb), nemmeno lei una persona con cui sia piacevole avere a che fare. Suo figlio David (Will Forte) cerca di stargli dietro, nonostante che abbia i suoi problemi, con un lavoro piuttosto deprimente e una relazione affettiva che non funziona per niente. Ma il padre non sembra nemmeno farci caso, e la madre gli dice chiaramente che non dovrebbe perdere tempo dietro di lui. Nemmeno suo fratello (Bob Odenkirk), a cui le cose sembrano andare meglio, capisce perché David si dia così tanta pena per il padre che, gli ricorda, praticamente non ha mai fatto niente per loro.

Fra l'altro Woody sembra essersi cucinato il cervello. Gli è arrivata una di quelle pubblicità al limite della truffa che dichiarano a caratteri cubitali che il destinatario ha vinto un milione (di dollari, visto che siamo negli USA) e in piccolo, molto piccolo, che è solo una lontanissima possibilità, e lui l'ha presa per vera. Inoltre, non fidandosi delle poste, vuole andare di persona a ritirare il premio. Non avendo la patente, e la mente piuttosto confusa, cerca di andarci a piedi. Lui abita a Billings, Montana, il presunto premio si trova a Lincoln, Nebraska, per un viaggio di ben più di mille chilometri. Fra l'altro, del milione di dollari non si capisce bene cosa vuole farsene. Dice che lo vuole usare per comprarsi un pick-up e un compressore, per rimpiazzare il quello che gli è stato "preso in prestito" da un suo vecchio amico decenni prima.

David decide che, dopotutto, non è poi una cattiva idea farsi un viaggetto, si dà malato, e via all'avventura. Il problema che il carattere di Woody non migliora affatto lungo la strada, anzi, direi quasi che peggiora, se questo fosse possibile.

Se non basta questo a dissuadere lo spettatore i cui gusti si siano assuefatti a Michael Bay, aggiungo che la sceneggiatura (Bob Nelson, esordio cinematografico, nativo del South Dakota, e quindi conosce bene quelle parti) sembra scritta per rendere impervio l'accesso alla storia da parte di chi non sia più che motivato ad arrivare in fondo, e che la regia (Alexander Payne) ne asseconda alla perfezione lo spirito, fotografando il tutto in uno splendido bianco e nero che non può che allontanare l'amante dei lustrini, e lasciando che i fatti si sviluppino con i loro tempi, che non possono che essere molto lenti.

Chi non si lascia scoraggiare, avrà modo di scoprire un tesoro che vale ben più di un milione.

Le sei nomination agli Oscar (per il film, la regia, la sceneggiatura originale, Dern, la Squibb, e la fotografia) dimostrano che, dopotutto, ogni tanto l'Academy si prende una vacanza dalle logiche commerciali (a oggi, negli USA il film ha incassato quindici milioni, roba che serve appena a non far perdere i produttori) e riconosce la capacità artistiche.

Imperdibile la colonna sonora, che accompagna benissimo le immagini, scritta (no, non da Bruce Springsteen) da Marc Orton, e interpretata da lui medesimo, in alcuni brani in formazione con i suoi Tin hat, il che è già di per sé un evento. Curioso che i Tin hat creino un legame con La giusta distanza di Carlo Mazzacurati.

Almeno chi ha apprezzato i precedenti lavori di Alexander Payne, come Paradiso amaro e A proposito di Schmidt, dovrebbe accettare la scommessa che pone questo film.

2 commenti:

  1. Bruce Dern è semplicemente favoloso e già la pellicola merita di essere vista..
    Colonna sonora stupenda...
    Abbraccio amico caro!

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    1. Sottoscrivo. Fosse per me, l'Oscar per il protagonista quest'anno sarebbe suo. Orton è un grande della musica, ed è stato bravo a mettere la sua arte al servizio del film. Un abbraccio :)

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