Educazione siberiana

Non ho capito bene perché Gabriele Salvatores abbia deciso di partecipare a questo progetto. Forse è stato attirato dalle promesse di internazionalità (che in realtà non mi pare siano state mantenute) derivanti dall'interessante cast artistico. Purtroppo il film ha un grosso problema, che mi pare si possa identificare nel romanzo su cui è basata la sceneggiatura.

Non ho letto il libro di Nicolai Lilin ma dai commenti (anche positivi) che ho visto mi pare quanto di più anti-filmico si possa immaginare. Una serie di episodi che illustrano la comunità da cui proviene l'autore mescolando realtà e fantasia in una proporzione non ben definita. E secondo i detrattori è una sovrabbondante fantasia che mira a nobilitare quanto di ben poco nobile c'è in una realtà molto depressa.

Il lavoro di sceneggiatura (della premiata coppia Stefano Rulli e Sandro Petraglia, con il concorso dello stesso Salvatores) ha smontato il materiale originale, lo ha fatto a pezzi e ricucito in una storia cercando di tirarci fuori qualcosa di adatto alla rappresentazione su schermo. Grazie alla capacità del terzetto il risultato è accettabile ma credo che a questo punto sarebbe stato meglio partire da zero, abbandonando del tutto la struttura originale.

Curioso che gran parte del cast, compresi di due protagonisti, siano lituani e anche alla prima esperienza cinematografica. Come se si fosse deciso (o si fosse stati obbligati) a prendere il personale sul posto per riuscire a non sforare i limiti del budget, che immagino sia stato mangiato in buona parte dalla messa in scena e poi dal cachet dei tre attori noti a livello internazionale, che pure hanno ruoli secondari. Il più importante (e costoso) dei tre è certamente John Malkovich, gli altri due sono Peter Stormare (che ricordo soprattuto per Fargo dei Coen), e Eleanor Tomlinson (che ha iniziato ad illuminare le pellicole con il suo bel sorriso a partire da The illusionist di Neil Burger nel 2006).

La storia oscilla tra lo studio della formazione di giovani delinquenti, alla C'era una volta in America di Sergio Leone, ma senza disdegnare anche una citazione di Arancia meccanica di Stanley Kubrick (sottolineata da una scheggia musicale firmata dagli Area) a quello di una famiglia della criminalità organizzata di area ex-sovietica (vedi La promessa dell'assassino di David Cronenberg, alle relazioni in un gruppo di ragazzi all'alba dei primi turbamenti sessuali (e qui la citazione di Absolute beginners di Julien Temple è sottolineata dall'uso del brano omonimo di David Bowie), senza trascurare nemmeno il film militare, con una puntata in Afghanistan.

I protagonisti sono Kolyma (Arnas Fedaravicius) e Gagarin (Vilius Tumalavicius). Il primo integrato nella comunità di onesti (!) delinquenti capitanata da suo nonno (Malkovich), il secondo ribelle, con un grosso problema di rabbia di cui non sappiamo bene quale sia l'origine. Sembra che Gagarin abbia pure una attrazione sessuale per Kolyma, che forse non è ricambiata (o forse Kolyma, così inquadrato, preferisce non riconoscerla). In ogni caso Kolyma si prende una cotta per la figlia del dottore, Xenya (Tomlinson) che è rimasta bloccata mentalmente alla sua infanzia. Il buon Kolyma, che ha pure una certa capacità artistica, cerca di sublimare la sua disastrosa vita sentimentale affrontando il tradizionale uso dei tatuaggi, a cui viene introdotto da Ink (Stormare).

Sarà Gagarin a rompere definitivamente gli indugi entrando in modalità (auto)distruttiva e causando una serie di danni spaventosi.

La parte di Malkovich, secondaria per quel che riguarda il tema della storia, è fondamentale per lo sviluppo della stessa, avendo la funzione di voce narrante che spiega le tradizioni del gruppo, facendoci capire perché l'integrato Kolyma si comporti in un certo modo, e contro cosa si scontri Gagarin.

Molto piccola la parte della Tomlinson, che però ha alcuni dei momenti liricamente più belli del film. In particolare la scena in cui Xenya cerca di spiegare a quel babbeo di Kolyma quanto lo ami e come vorrebbe fare all'amore con lui, senza avere le parole per farlo, è davvero molto toccante.

Musicalmente, a parte gli inserti progressive e del duca bianco, il tutto è tenuto assieme dalla bella colonna sonora firmata da Mauro Pagani, nientemeno.

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