Il cecchino

Prima di andarlo a vedere ho letto distrattamente qualche recensione, di cui mi è rimasto in mente ben poco, se non che si tratterebbe di un "polar". Facendo il gioco delle associazioni, a polar io avrei risposto Roald Amundsen (o tenda rossa, se i nomi di persona fossero banditi), ma ero fuori strada.

Dopo la visione, mi sono informato. Per polar si intende il connubio tra genere poliziesco e noir - per cui direi che lo si pronuncia con la a aperta, molto aperta, polaaar, tipo rana dalla bocca larga (qu'est-ce que tu manges?). Ma di noir (nuaaar) ne Il cecchino ce n'è davvero pochino, lo direi piuttosto un poliziottesco confuso. Il pasticcio direi che è dovuto alla tensione tra la regia (Michele Placido) che, giustamente, fa quello che sa fare bene (vedasi Romanzo criminale) e la sceneggiatura (gli esordienti Cédric Melon e Denis Brusseaux) che si fa prendere dall'emozione e stipa in un ora e mezza abbastanza temi da riempire una serie televisiva à la Ventiquattro.

Non posso entrare nei dettagli della storia, per non rovinare la sorpresa all'inconsapevole lettore che voglia tramutarsi a breve in spettatore, ma posso dire tranquillamente che inizialmente la partita viene giocata tra il commissario Mattei (Daniel Auteuil) e un misterioso tiratore (Mathieu Kassovitz) coinvolto in una sanguinosa rapina. Mattei tende una trappola alla banda di Nico (Luca Argentero), noto rapinatore di banche, ma viene colto in contropiede dalla copertura militare offerta dall'inatteso tiratore. E questo sarebbe un poliziottesco, con tutte le complicazioni del caso, Nico ferito, malloppo che viene congelato in attesa di tempi migliori, polizia sulle tracce dei malviventi. Anche l'apertura di un secondo fronte resta nei canoni del genere. Qualcuno vuole rapinare i rapinatori, aiutando la polizia. Solo che questo qualcuno è un sadico torturatore di belle fanciulle. Inoltre gli due altri poli della discordia hanno un ulteriore motivo di tensione, che ha radici addirittura nella guerra in Afghanistan. Meglio sarebbe stato snellire la trama, e approfondire i personaggi.

Placido regista (che gioca bene con i colori e la loro assenza) non rinuncia ha ritagliarsi un piccolo spazio come attore (si fa affiancare niente meno che da Fanny Ardant, anche se per solo pochi secondi), e riesce a piazzare anche la figlia Violante. Che se la cava tutto sommato bene.

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