American gangster

Produzione danarosa, solida regia (Ridley Scott), un ottimo cast artistico e tecnico. La storia, però, pur essendo teoricamente interessante, non mi ha acchiappato più di tanto. Non da farmi annoiare, rischio non da poco, data la lunghezza elefantiaca dell'edizione estesa da quasi tre ore del DVD, che aggiunge un quarto d'ora alla versione ufficiale, ma abbastanza da lasciarmi insoddisfatto.

Non è tanto un film di gangster, quanto sull'American Way of Life, applicata allo spaccio di droga. Il paragone con Il padrino di Coppola e dunque molto superficiale. I personaggi navigano circa nello stesso ambiente, ma viaggiano su rotte diametralmente opposte. Restando in tema di Coppola, si può notare anche il differente approccio verso la guerra del Vietnam, sia nel Padrino, sia in Apocalipse now e ne I giardini di pietra. Qui la guerra è solo una occasione per fare affari. Nessun dilemma, nessun dramma, solo una opportunità economica.

La storia è vista seguendo la prospettiva dei due protagonisti: un piccolo delinquente (Denzel Washington), tirapiedi di un piccolo boss della malavita nera newyorkese che in seguito alla morte del suo capo finisce per ereditarne il regno e farlo crescere a dismisura grazie ad alcune sue idee imprenditoriali; e un poliziotto (Russell Crowe) che finisce per dargli la caccia.

Come spesso accade ai film basati su storie vere, si perde tempo su aspetti secondari che in realtà interessano poco allo sceneggiatore, al regista, e figuriamoci quanto possano risultare interessanti allo spettatore. In particolare le sottotrame familiari, con il poliziotto che divorzia da Carla Gugino, e il delinquente che si piglia una moglie trofeo, risultano stereotipate e inutili al tema principale.

La parte di Crowe racconta l'ambiente della polizia newyorkese, già trattata da Scott in Black Rain, ma dal punto di vista di un poliziotto "pulito", in un ambiente piuttosto corrotto, esemplificato da Josh Brolin. Viene messo a capo di un gruppo per combattere i grossi commercianti di droga, fa il suo lavoro, dopodiché molla la polizia per fare l'avvocato. Storia che non regge molto dal punto di vista filmico, visto il deludente finale. Prima lavora per mettere in galera i "cattivi", ma poi si stufa e passa dall'altra parte della barricata. Però pare che le cose siano andate davvero così, e c'è poco da fare.

Più interessante la storia di Washington. Fa la gavetta in una impresa (delinquenziale), in seguito alla morte del capo questa entra in crisi, lui ne prende le redini, applica idee nuove, ne segue il successo. Le idee sarebbero usare le strategie degli "italiani" (e si intende la cosa nostra americana) nella struttura direttiva della banda, che viene colonizzata da parenti stretti del nuovo capo, e applicare i metodi da centri commerciali, andandosi ad approvvigionare direttamente dal produttore di droga.

Carente, a mio avviso, il finale. L'organizzazione era destinata alla catastrofe, non si è trattato di una serie di sfortunate circostanze. Come giustamente fa notare un personaggio minore (Jon Polito, credo) gli "italiani" reggono perché la "famiglia" è più importante del singolo. Nessuno è essenziale, chiunque può essere sostituito, anche il padrino. Sono le relazioni che fanno la struttura, e le relazioni sono più durature dei singoli individui. Anche l'idea di andarsi a pigliare la droga direttamente dal produttore non funziona, se non in circostanze particolari come quelle narrate. Infatti una volta che l'esercito americano lascia il Vietnam, necessariamente tutto crolla.

2 commenti:

  1. In effetti mi sono domandato pure io come proseguissero le vicende economiche, ma poi mi sono ricordato de Il padrino, appunto, e di tutta la filmografia di Scorsese sull'argomento. Non è che manchi di credibilità (anche il poliziotto onesto che decide di fare l'avvocato è plausibilissimo, vista la sua onestà e, mi pare, la promessa fatta allo spacciatore), ma tocca fare confronti, e Ridley Scott non è più quello di una volta.

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    1. La credibilità c'è tutta, ma la storia non riesce farmi andare oltre ad un tiepido interesse. Per me il capolavoro assoluto di Scott è I duellanti e, concordo, negli ultimi anni non mi pare abbia fatto cose eccezionali. Però non lo darei per spacciato, la sua regia è (quasi) sempre una certezza e c'è sempre la possibilità che piazzi qualche bel colpo.

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