Il cattivo tenente - Ultima chiamata New Orleans

Il forte pregiudizio negativo che avevo nei confronti di questo film s'è rivelato (almeno parzialmente) ingiustificato. È tutto sommato una visione accettabile, anche Nicolas Cage ne esce bene, soprattutto se paragonato alle cosacce in cui solitamente si ficca con gran gusto. A proposito di paragoni, Il cattivo tenente di Abel Ferrara ha davvero poco a che fare con questo supposto remake. Si tratta in realtà di due storie superficialmente simili sviluppate in modo completamente diverso.

Solita mia parentesi sul titolo originale, questa volta mi lagno del fatto che da The bad lieutenant: Port of call - New Orleans, inspiegabilmente il porto di passaggio sia stato trasformato in una ultima chiamata che non ha riscontro nella trama.

La storia perde la forte tensione filosofico-religiosa e anche la decisa connotazione negativa del protagonista. Questo cattivo tenente non è per niente ossessionato dalla sua vita insulsa, e non si avvita in una serie di balordaggini con un evidente istinto autodistruttivo, ma è un semplice disgraziato qualunque, che si mette nei guai parzialmente per sua immaturità, ma anche un po' per sfortuna. Tanto per dirne una, inizia a consumare stupefacenti per lenire il dolore causatogli da una azione erroneamente considerata eroica, quando invece in realtà stava facendo lo smargiasso con il suo compare (Val Kilmer, ruolo piccolo e molto sotto le righe).

A ben vedere, la vicenda narrata da Werner Herzog è ancora più drammatica di quella originale. Lì il protagonista tocca il fondo dell'abiezione ma almeno nel finale aveva una sorta di redenzione che finiva per dare quel senso alla sua vita che aveva così disperatamente cercato (o rifiutato) prima. Qui invece Cage è un mediocre che alterna azioni positive e negative a casaccio, sembra che non sappia nemmeno lui cosa faccia e perché. E il resto del mondo non è certo meglio di lui, basti dire che la promozione a tenente gli viene conferita per la fraintesa spacconata di cui sopra. Un mondo distratto, amorale, in cui gran parte delle cose capitano per caso.

Il tono della narrazione, invece, è molto meno cupo. Grazie anche alla recitazione di Cage, a tratti eccessiva, ma perfettamente giustificata dal personaggio e dalla sua condizione di tossicodipendente. Alcune scene sono permeate da un umorismo nero che mi hanno fatto pensare ai Coen, anche se Herzog si mantiene sempre ad un livello molto più vicino alla realtà.

Il punto di vista è quasi sempre quello del protagonista ma in una manciata di occasioni scivola via, come se Herzog si distraesse da una vicenda dopotutto non particolarmente interessante per seguire invece un serpente, coccodrilli, iguane. Forse voleva rappresentare in questo modo lo scollamento dalla realtà del protagonista, o forse di tutti noi umani (vedi La sottile linea rossa di Malick).

Tra i personaggi minori spiccano Eva Mendes, prostituta redenta, e Jennifer Coolidge, la mamma di Stifler di American pie, dieci anni dopo - alcolizzata e lasciatasi andare alla rovina, ma anche lei redenta nel finale.

Ah, tutte queste redenzioni non facciano pensare che Herzog si sia rammollito. È tutta una finta. Il film ha un happy ending di una zuccherosità micidiale, ma non finisce lì, ha una coda che scompiglia le carte all'ultima mano.

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