Tutta la vita davanti

Commedia molto godibile, ma dal retrogusto amaro, come è nello stile di Paolo Virzì che l'ha scritta e diretta. Buona la colonna sonora, che accompagna a dovere l'azione.

Protagonista è Isabella Ragonese (premiata con il Biraghi a Venezia - assieme a Luca Argentero, Valentina Lodovini e Andrea Miglio Risi - per questo suo primo ruolo importante; già vista in una particina nel Nuovomondo di Crialese) affiancata da un cast di lusso con Massimo Ghini e Sabrina Ferilli, momentaneamente strappati ai cinepanettoni e che mostrano di essere in grado di reggere personaggi di uno spessore superiore a quelli che purtroppo gli sono normalmente affidati di questi tempi; Valerio Mastandrea sempre bravo; Elio Germano un po' sottotono (meglio rivederlo in Mio fratello è figlio unico; Laura Morante c'è ma non si vede - in quanto voce narrante; Edoardo Gabbriellini in un ruolo minimo.

Oltre alla Ragonese, per questo film sono stati premiati Virzì e la Ferilli (entrambi sia Globo d'oro che Nastro d'argento), molte le candidature che non si sono concretizzate, anche perché è stato un buon anno per la cinematografia italiana, e i David sono stati monopolizzati da Gomorra e Il divo, che hanno lasciato poco spazio per tutti gli altri film.

La Ragonese è una palermitana trapiantata a Roma per ragioni di studio, si laurea 110 e lode in filosofia per scoprire che non c'è nessun lavoro che la attende. Del resto nemmeno il fidanzato, che ha una laurea teoreticamente più facile da spendere sul mercato del lavoro, ha trovato un lavoro decente, e se ne vola negli USA in cerca di maggior fortuna. Lei finisce a lavorare in un call-center che ha lo scopo di tirar fregature alla casalinghe, a cui viene venduto ad un prezzo spropositato un apparecchio praticamente inutile. Ma dato che i soldi del diavolo van tutti in crusca, a guadagnarci non sono le centraliniste, non sono i venditori, e neanche il management dell'azienda (Ferilli caposala e Ghini proprietario) che semplicemente sperperano tutto in idiozie fino al finale tragicomico.

Notazione linguistica: brava la Ragonese a usare la sua cadenza palermitana solo quando va a trovare la madre (Mary Cipolla - brava, particina) per utilizzare invece un italiano più standard quando è a Roma - da contrapporre a Gabbriellini che non si riesce proprio a staccare da una pronuncia marcatamente toscana, neanche a cercare di strappargliela con le tenaglie (vedasi Io sono l'amore).

Dalla storia escono male quasi tutti. Il mondo universitario è rappresentato da una tavolata di vecchi barbogi (d'altronde s'è mai visto un giovane barbogio?) e dall'assoluto disinteresse per i giovani che vengono formati. Il fidanzato non ci pensa due volte a mollare la protagonista per seguire la sua carriera, dicendole solo all'ultimo momento dell'offerta che ha ottenuto. I compagni di corso si trovano lavori approfittando delle parentele (e chi non ha il parente piazzato al posto giusto si attacchi). Il mondo culturale e i sindacati mostrano un interesse distratto, di facciata, ai problemi del mondo reale. Il call center è una sorta di universo parallelo, in cui tutto sembra andare bene (anche se ogni tanto qualcuno scompare nel nulla, se non riesce a portare a casa i risultati attesi) finché i nodi non vengono al pettine e questo paradiso di plastica scoppia come una bolla di sapone.

Nonostante questa catastrofe, che fa male anche solo a pensarlo ma è molto realistica, il finale lascia almeno una speranza, con una tavolata con quattro donne che forse riusciranno a vivere una vita migliore (come non pensare a Speriamo che sia femmina di Monicelli?). La bambina che, richiesta cosa vuol fare da grande, risponde "la filosofa" strappa un ultimo sorriso.

1 commento:

  1. Uno di quei film italiani che sorprendentemente dovrei guardare. Ce ne sono pochi, e non mi lascerò sfuggire, alla prima occasione, La prima cosa bella.

    Off topic: questo film è nel secondo Torneo dei film, al quale puoi partecipare votandolo, oppure più attivamente inserendo le nomination nel form in sidebar.

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